17 maggio 2013

Intervista agli Ivories (ex Jeunesse d'Ivoire)



Gli irripetibili anni ottanta nelle parole di chi li ha vissuti per davvero, e un presente fatto non solo di nostalgici ricordi ma anche di progetti e fermento artistico: la "Milano new wave" di Patrizia Tranchina, Danilo Carnevale e Francesco Sindaco è innanzitutto un luogo dell'anima, e come tale appartiene tanto al passato quanto al presente.
L'occasione per questa bella intervista è data dal concerto che si terrà domani, sabato 17 maggio, al FOA Boccaccio di Monza, ove gli Ivories, formazione nata dalle ceneri di Jeunesse d'Ivoire e Other Side, divideranno il palco con i britannici The Mob e alcune giovani ma agguerrite realtà tricolori.
Passato e presente legati in maniera indissolubile, dunque, nel segno di un movimento che, a trent'anni dalla sua "esplosione", continua a sprigionare scintille creative; ma lasciamo ora la parola a Patrizia e soci, e facciamoci trascinare nel "lato oscuro", o "lato B" che dir si voglia, della (fu) "Milano da bere"...

Raccontateci degli esordi dei Jeunesse d'Ivoire, come è nata la band?
Patrizia: il bassista degli Other Side, con il quale nel ‘79 avevo giá collaborato nel progetto "An Incoherent psyche" (Stefano Comazzi al basso, Fred Ventura alla batteria, Giuliano Donati alla chitarra) mi contattò per propormi di cantare con loro, dato che Danilo, cantante e chitarrista della band, aveva deciso di dedicarsi completamente al suo strumento.
Dopo queste modifiche alla line – up (tra le quali anche il successivo abbandono del gruppo da parte del batterista e la scelta di utilizzare la batteria elettronica) cambiammo anche il nome in Jeunesse d’ivoire.

Quali erano i vostri ascolti abituali all'epoca?
Tutto il post punk che abbiamo avuto la fortuna di ascoltare in tempo reale (e che salti mortali per reperire i dischi…): Wire, Joy Division, Cure, Talking Heads, Siouxsie, PIL, Gang of Four, Killing Joke , Pink Military, Marquise de Sade, Television, Fall, Echo and the Bunnymen…

Si poteva parlare di una "scena" milanese, oltre che in termini di band, in termini di pubblico, locali dove suonare, ritrovi etc.?
La Milano da bere, a differenza di realtà come quelle di Firenze o del Great Complotto di Pordenone, è stata decisamente avara di opportunità per i musicisti della "nuova onda”, Milano era una città piuttosto settaria dove ognuno faceva storia a sé.
Tra i locali che ci hanno dato la possibilità di esibirci dal vivo possiamo menzionare il Viridis, l’Odissea 2001, e poi ricordo qualche sporadica iniziativa. Ad esempio, il collettivo di Piazzale Abbiategrasso e Radio Popolare che nell’82 tentarono di riunire in 2 serate al Cineteatro Cristallo quei pochi gruppi punk e new-wave della scena milanese. Pubblico complessivo poco oltre le 200-300 persone. Ovviamente non si pretende che potessero rappresentare un panorama esaustivo della scena milanese, ma dava una fotografia piuttosto chiara dello stato delle cose.
Per quanto ci riguarda siamo riusciti a suonare più che altro fuori dalla nostra provincia o addirittura oltre i confini della regione lombarda. Questo fa capire quanta poca attenzione ci fosse nella nostra città per una nuova realtà musicale che altrove stava invece avanzando in maniera più significativa.

Qualche anno fa la Spittle Records ha rilasciato la compilation "Milano New Wave 1980-83"; in che rapporti eravate con le altre band presenti su questa raccolta (Other Side, State Of Art, La Maison)?
Con gli State of Art abbiamo condiviso a lungo la sala prove, allestita nella soffitta di Stefano Tirone, ed un forte legame di amicizia... anche con i La Maison e con i 2+2=5 ci si incontrava spesso, la loro tastierista, Cha Cha Hagiwara suonò per un certo periodo le tastiere anche nel nostro gruppo. Questo legame è perdurato nel tempo, e ogni tanto ci si rincontra per andare ad ascoltare dal vivo qualche gruppo interessante.

Sempre a proposito delle altre band italiane degli anni ottanta, uno dei nomi più noti ed amati è sicuramente quello dei Diaframma; nel recente passato Patrizia è apparsa sul palco con la band di Fiumani, quale rapporto vi lega a loro? C'era un legame tra le band milanesi e le altre realtà italiane?
Isolamento quasi completo. Non esisteva internet e i contatti erano molto improbabili. Le poche notizie arrivavano attraverso l’esiguo numero di riviste musicali che incominciavano a dedicare dei piccoli spazi ai gruppi indie italiani. La scena fiorentina offriva, a realtà soffocanti come la nostra, una piccola, tuttavia importante conferma, uno spiraglio sul fatto che anche in Italia si iniziava a muovere qualcosa, una nicchia di ascoltatori cominciava ad apprezzare un genere perlopiù ritenuto "alieno".
L'unico legame che ci unì ai Diaframma dell'epoca fu la compresenza dei due gruppi nella raccolta "Body Section".
Purtroppo non ci furono contatti diretti anche se diversi brani dei Diaframma entrarono prepotentemente nelle mie playlists abituali, la colonna sonora che accompagnava quell'intenso periodo della mia vita.
Con Federico Fiumani avvenne, poco prima del concerto del 2012 al Bloom di Mezzago, uno scambio "epistolare" attraverso Facebook. In quell'occasione Federico mi invito a cantare "Siberia" nel loro live.
Per me questa cosa ha rappresentato anche una gradita opportunità: conoscere personalmente un artista "incorrotto" e molto coerente con le proprie scelte, una grande emozione che conservo ancora oggi.

Parlateci un po' degli Ivories, di quale è stato lo spunto per dare vita a questa nuova formazione e chi ne fa parte.
Patrizia: oltre a me, gli Ivories sono Danilo Carnevale, già chitarrista nei Jeunesse, e Francesco Sindaco al basso e cori, con cui ho condiviso diversi progetti musicali in passato. Siamo tutti e tre compositori, con personalità piuttosto spiccate, ma con simile passione per il post-punk in tutte le sue reincarnazioni, lungo il filo che dal 77 lo conduce fino ad oggi.
Nel 2010 Fred Ventura propose di risuonare dal vivo i pezzi apparsi sul disco “Milano New Wave” durante una serata di reunion organizzata al Tunnel di Milano.
Per quella occasione chiesi a Francesco di suonare le parti di basso delle nostre canzoni, dato che Stefano Comazzi, bassista originale, non era interessato alla cosa.
Ci trovammo subito a lavorare in sintonia e per l'occasione preparammo anche un pezzo nuovo, “Million Things Are Hung To The Sky”, il brano che abitualmente apre ormai i nostri live. E' una canzone che parla proprio di questo passato così lontano che ha segnato in maniera indelebile le nostre esistenze, un pezzo di vita che non si è mai dissolto/risolto del tutto ed è rimasto "appeso nel cielo" con tutte le connotazioni ambivalenti che questa cosa comporta.
Già dalle prime prove come Ivories ci siamo resi conto di avere molto di più da dire che non semplicemente riproporre pezzi di trent'anni fa. Dopo il concerto quindi abbiamo deciso di proseguire, partendo più da un'idea di suono e di estetica che da un vero progetto a tavolino.

Come è nato il nuovo Ep "In Between"?
La chimica fra di noi è strana. C'è sempre tensione fra melodia e rumore, passione, caos, regola.
I primi pezzi sono nati così, con strappi continui, proclami martellanti, cascate di note e disciplina kraut-rock. E le basi elettroniche in questo sono perfette, chiudono tutta questa materia in gabbie fredde e funzionali. La musica che ne risulta si può definire compressa, minacciosa.
Poi, create di getto 5-6 canzoni ci siamo resi conto di avere un tema che ricorreva spesso. L'essere sospesi a metà tra dimensioni e forze contrastanti. "In Between" appunto. È un percorso di sintesi musicale tra passato e presente che nello stesso tempo si interroga sul domani.

Ci sono delle band, nel panorama attuale (italiano e non) che hanno catturato la vostra attenzione?
Patrizia: sulla scena internazionale mi piacciono molto Savages, Warpaint, Duchess Says, Disappears, Dead Skeletons, National, Motorama…Per quanto riguarda l’Italia ascolto Diaframma e alcune cose dei Baustelle, inoltre ho trovato interessanti Starcontrol, Buzz Aldrin e Blue Willa, gruppi che vorremmo contattare e con i quali ci piacerebbe iniziare una collaborazione.
Danilo: conosco poco la scena italiana. Interessanti diverse cose del Teatro degli Orrori. Di recente non ci sono situazioni che abbiano particolarmente catturato la mia attenzione. Del panorama internazionale degli ultimi anni citerei: Radiohead, Nathan Fake, non male anche il secondo degli Horrors e gli Iceage.
Francesco: mi piacciono molto Foals, Four Tet, Boards of Canada, Fuyija & Miyagi, Battles, Tinariwen, Gonjasufi, Fever Ray… Tra i gruppi italiani ho apprezzato la musica dei Pan del diavolo.

Quali progetti hanno gli Ivories per il futuro, avete in programma di registrare un full length?
Abbiamo già una decina di pezzi praticamente finiti. In termini di creatività non abbiamo proprio problemi! Per cui, abbiamo intenzione di uscire con un prodotto completo entro l'anno.
Non sarà un concept, ma di certo il filo conduttore di cui ti parlavo prima sarà molto riconoscibile. Ci prenderemo anche qualche libertà in più, con sezioni strumentali più lunghe e qualche tinta psichedelica. Abbiamo intenzione di coinvolgere qualche ospite speciale, amici e persone che stimiamo, e utilizzare la forza evocativa delle immagini, sia dal punto di vista dell'artwork che dei video veri e propri. Crediamo che diverse canzoni nascano con una fortissima connotazione visiva, che sarebbe un peccato non sfruttare.

2 commenti:

Humberto ha detto...

Wow Thanks this is a real jewel!!!!

Lorenz ha detto...

Thank you Umberto!

Lorenz